13 Mag La partenza – Free Andalusia
La Partenza – Free Andalusia
Lecce, Stazione ferroviaria, ore 11:13, 08.10.2013
D’un tratto mi ritrovo in treno, seduto in un posto a sedere che non è il mio vicino il finestrino. Qui ci sono i tavolini, la presa elettrica ma soprattutto c’è… SPAZIO.
Il momento della partenza alla stazione ferroviaria è molto diverso da quello all’aeroporto o in attesa in un porto turistico: forse sarà perchè siamo legati così tanto alla terra che il distacco da un luogo lo percepiamo solo attraversandolo in due direzioni (manca l’asse z!). La mia colonna sonora, sarà un caso ma ci sta tutta, è Move by yourself. Sento fischi, grida, rumori meccanici.
Il treno è partito. Via.
Osservo dal vetro le pianure brindisine e mi vengono in mente i preparativi che ieri ho fatto per la partenza. L’unico problema al quale non ho potuto porre rimedio è legato al peso eccessivo dello zaino: l’attrezzatura fotografica e per il bivacco è abbastanza pesante ma non avevo modo di evitare di portarla con me. Nella scrematura serale del bagaglio ho ridotto al minimo gli indumenti e gli effetti personali ma penso che ancora non basti. Intanto il treno è arrivato a Brindisi. Spero vivamente che non arrivi nessuno a chiedere il posto che occupo. E’ così comodo!
Fuori piove.
I campi della pianura salentina sono ancora ricoperti da erbe alte e secche di un colore paglia intenso. Solo a volte mi passano davanti piccoli campi coltivati a carciofi o uliveti. Sono stanco ma molto sereno. Subito penso che questo è il mio primo viaggio in cui sperimento la tecnologia. So che ci sono arrivato un po’ tardi ma non avevo mai utilizzato smartphone, internet, tablet e altri mezzi di comunicazione moderni. Ho sempre viaggiato con una cartina, una rivista e una penna!
Quando ero piccolo e tornavo in treno con la famiglia a Lecce, la mia città natale, pensavo che l’Italia fosse lunghissima. Un’infinità di ore mi separavano dal mare e i cari parenti. Oggi scopro che tutte le distanze si possono coprire in maniera abbastanza e relativamente semplice, basta avere il tempo. Durante i lunghi viaggi con l’espresso Torino-Lecce che facevo da bimbo, mi sedevo sugli sgabelli del corridoio mentre i miei dormivano in cabina (la cuccetta costava troppo!) o parlavano con gli altri compagni di viaggio. Allora io rimanevo solo e con la fronte incollata al finestrino, guardavo per ore il paesaggio che mutevole mi si parava davanti. Dapprima le colline, poi la pianura, in lontananza le montagne, poi il mare. Ecco, quando arrivava il mare mi sentivo pieno di gioia sia perchè (penso) iniziava a delinearsi il mio amore per l’acqua e l’intima attrazione per il mare e poi perchè il paesaggio cambiava. Non erano più le colline piemontesi o le montagne dell’appennino ma ora c’erano gli ulivi e le spiagge. Cambiava tutto fuori dal finestrino eppure non cambiava nulla: tutto il mondo ha qualcosa in comune con il resto del mondo. Le Murge e poi Fasano, per fortuna siamo ancora vicino al mare! C’è qualcosa che mi affascina in quello che vedo. Le campagne intorno hanno qualcosa di sistematico, mostrano un lavoro meticoloso e ordinato. Soprattutto riguardo i campi coltivati: negli uliveti secolari, i contadini hanno arato la terra e in seguito hanno piantato cavoli, verze, rape. Sembra abbiano steso un manto colore verde sotto gli ulivi che lascia grandi cerchi marrone terra solo sotto la chioma degli alberi, come fosse una grande ombra proiettata da un sole a perpendicolo.